Freccette e neofeudalesimo

Illustrazione satirica che rappresenta delle freccette sparate verso una bandiera dell'Unione Europea, con figure umane stilizzate e il titolo 'CROSS DARTS'.

Si sono aperti a Londra i campionati mondiali di freccette. Nato come gioco da pub, ha avuto sempre più successo, fino a diventare patrimonio immateriale politico-diplomatico. Costa poco e i premi sono molto alti.
Ne sono innamorati molti reali e titolati, vassalli, valvassori e valvassini.

La lotta di classe è superata. Avanza il trionfo di classe o un neo-feudalesimo, solo qualche anno fa impensabile. Uno dei tecno-letterati, Roberto Vacca, oggi quasi centenario, ne aveva scritto – Cassandro, parecchi anni fa – : Il medioevo prossimo venturo (ma perché quando aprono bocca gli scienziati, chi di dovere si mette i tappi-portatili nelle orecchie/portable earplug?).

Ricostituiti gli enormi latifondi, oggi economici e tecnologici. Riappare il don Rodrigo – che se respiri un po’ più forte quando passa: hai detto a me? e ti chiude nelle secrete o non ti fa entrare nella sua marca.
E poi ci pensano i missi dominici e l’Inquisizione, ormai non più ecclesiastica.
Nuove grandi cerchie gerarchiche chiuse, non conventuali; ma ugualmente presenti superiori, priori, badesse, in altra veste societaria.
Il popolo, sempre più anonimo e sfiduciato, si astiene. Non ha voce. Impoverito e medievalizzato. Solo tributi. Aumentano disuguaglianze e povertà. Esagerate ricchezze in poche mani. Bullismi e violenze. Ignoranze, sfrontatezze gratuite e mali dell’anima.
Il territorio non curato, e una tosse climatica che porta disastri ogni settimana.

Fa rabbrividire, ma avanza nel mare della società uno tsunami tecno-valley ultra suprematista, che ha grande capitale ed è seduttivo (è già qui, oggi).

Il grande malato – molto grave – è il Diritto, soprattutto internazionale. Molti ormai lo disconoscono per ignoranza, ingratitudine storica e intellettuale, potere.

C’era una volta lo stato di diritto. Anzi c’è ancora nella “riserva indiana” dell’Europa, dove è nato. Ma per questo molto temibile perché “lega le mani”.

Ecco dunque un campionato parallelo di freccette: strike sulle dodici stelle.   

***

Funambolite

Satira di un personaggio in equilibrio su una fune, indossando un abito bianco, con una corda legata a un peso. Sullo sfondo, nuvole bianche e le parole 'MUSKIO', 'ORBANIO', e 'TRUMPIO' scritte in arancione.

Oroscopo 2026

È il momento per i tripli salti mortali e le inversioni di marcia.
Consigliabili gli attraversamenti sul vuoto, con bilanciere o senza. Male che vada è colpa del vuoto.

Con Marte su Venere, bene la recitazione aderente al copione. Sempre che il copione non venga fatto coincidere con la realtà.
A ogni plenilunio verificare che la narrazione dei fatti sia avvenuta nella friggitrice ad aria, che la realtà abbia obbedito alla narrazione e che le uova ISTAT rimangano nascoste nel paniere.

Continuare a perfezionare la recitazione e ripetere spesso, allo specchio, gli esercizi: «Fun-zio-ne-ran-no». Alzare il tono di un diesis. Meglio un’ottava.
Saltellare a ogni sillabazione con coreografie e scenografie ben studiate.

Attenzione alle amicizie: solo quelle convenienti, in doppia copia.
Insistere sulle linee e sui desideri nascosti: 50 stelle, almeno, sono per ora favorevoli.

Entro due anni, qualcosa succederà.

Amore
No comment.

Lavoro
Un sacco.

Denaro
Due sacchi.

***

ZOHRAM

Cartoon depiction of a masked character named Zohram wearing a large hat and formal suit, holding a sword, with tall buildings in the background.

IL NUOVO “Z” CHE SEGNA I TEMPI

“Z come Zelo per la Verità.”
“Z come Zero tasse per chi già paga onestamente.”
“Z come Zitto, Donald, e alza il volume quando parlo!”

Le sue gesta fanno il giro del mondo, ma nessuno sa chi sia.
Finché ci saranno prepotenti che confondono la menzogna con il marketing, Zohram continuerà a incidere la sua Z sulla bacheca del potere.

Dall’alto dei grattacieli di Manhattan – o forse da un loft di Brooklyn –, il nuovo vendicatore globale colpisce.
Ma c’è chi giura che viva in un coworking di Brooklyn, chi lo immagina in un monastero tibetano alimentato a Wi-Fi.

Maschera nera, completo classico impeccabile alimentato a pannelli solari, e una spada fatta di tweet affilati. Ha anche una frusta moral-digitale, lo schiocco si è sentito a chilometri di distanza.

Ogni notte, mentre i notiziari si spengono e i talk show ripetono il solito mantra (“Make America Something Again, Whatever”), Zohram appare.
Silenzioso. Digitale. Invisibile.
Con un gesto preciso, zac!, lascia la sua firma: una Z fiammeggiante incisa non sul petto dei prepotenti, ma sui loro feed.

Il suo bersaglio preferito?

Il magnate pel di granturco, ora impegnato a vendere bibbie autografate, tappeti rossi, orologi, chitarre, tutto marchiato: The Donald. Un uomo capace di trasformare un processo in un reality, una bugia in un brand, un assalto in un party, dispensatore generoso di insulti ad dis-honorem.

Zohram non lo combatte con spada e frusta – che sono solo iconiche. Risponde con citazioni di Cervantes, fotomontaggi e video AI in cui Melania gioca a checkers con Olympe de Gouges, autrice della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, e passeggia con Martin Luther King.

Ogni volta che The Donald lancia un post roboante-repellente, Zohram interviene, spadaccinando l’algoritmo.

Gli è stato chiesto chi lo finanzi. Ha risposto, in un’apparizione, col suo largo sorriso sotto la maschera:

“Io? Nessuno. Rubo solo like ai ricchi… e li redistribuisco ai poveri.”

***

Le comiche iniziali e quelle finali

Vignetta satirica sul segreto di stato interpretato dalle maschere storiche del teatro italiano.

Sommario

Nijeem Osama Almasri è un generale libico, capo della polizia giudiziaria. È accusato di torture, omicidi e crimini contro l’umanità.
Almasri a gennaio ’25 fa un viaggetto in Europa: Londra, Bruxelles, poi Germania dove viene controllato dalla polizei di Monaco.
Dodici giorni dopo aver iniziato il viaggio, è colto da un mandato di cattura spiccato dalla Corte Penale Internazionale, sulla base delle denunce e della documentazione in suo possesso.
Il 18 gennaio arriva a Torino, il 19 viene arrestato, il 21 viene “espulso”, portato in Libia con volo di stato, dove viene accolto con tutti gli onori e issato in spalla dai suoi sostenitori.

Come il governo italiano gestisce l’operazione – cattura/atti/motivazioni ufficiali/rilascio – va immaginat0 su schermo nero, cornicette bianche e musiche accelerate, stile anni Venti, fotogrammi 16 al secondo e non 25.  

Il caso Almasri all’italiana.

Dapprima la linea ufficiale: «Non c’entriamo, ha fatto tutto la magistratura».
Sarebbe come dire: «Non sono stato io, è stato il mio compagno di banco», ma con toni da conferenza stampa.

Poi, seconda versione:
«Abbiamo agito nell’interesse dello Stato».
Allora c’entrano, ma solo un po’. È la difesa del bambino col dito nella marmellata che dice: «Non la stavo mangiando, la stavo salvando dalle formiche».

Infine, la terza acrobatica narrazione:
«Sapevamo del mandato di cattura da gennaio».
Perfetto. Dopo mesi di “non ne sapevamo nulla”, si scopre che invece sì, ne sapevano. Ma forse non volevano preoccuparsi troppo: dopotutto, chi non ha un mandato di cattura pendente attaccato al frigorifero con una calamita?

Nel frattempo, l’Europa osserva, la CPI bacchetta (procedura d’infrazione), e il governo continua a raddrizzare la linea politica con la stessa grazia con cui si tenta di raddrizzare una banana o di far stare in piedi una marionetta snodata.
C’è chi parla di “malinteso istituzionale”, chi di “strategia di Stato”.

Sullo sfondo: conferenze stampa con frasi come «Abbiamo agito nel rispetto delle leggi» e il disorientamento di chi si è appena perso sul manuale della lavatrice: “era scritto in inglese…”

Bastava imporre: Segreto di Stato [sporco].

Nelle comiche non è richiesto essere coerenti.
La auto-satira ha un vantaggio, non deve fingere di essere coerente.

Il caso Almasri alla libica.

La procura di Tripoli (in mano oggi a una fazione avversa) ne ha ordinato l’arresto, con una lezione di diritto…
La famosa pasquinata Quod non fecerunt barbares, fecerunt Barberini appesa alla statua di Pasquino (contro il papa Urbano VIII e la sua famiglia, i Barberini, che nel sec. XVII° depredarono Roma di pietre e bronzi) in questi giorni va capovolta, riadattata e riappesa: Quod fecerunt Libici non fecerunt Pinocchius, Pullicinella, Colombina.

Omessi altri particolari divertenti.

***

James Senese – ‘ngazzate nire

Illustrazione che rappresenta un musicista afroamericano che suona il sassofono, con il volto in diversi profili e un'espressione appassionata, su sfondo scuro.

Ieri, al quartiere Miano di Napoli dove era nato, è stato rivolto l’ultimo saluto a James Senese. Ottant’anni.
Se ne è andato per una polmonite. Ha ceduto proprio il suo strumento vitale: quel respiro, quel soffio che venivano trasformati in poesia. Poesia fatta di suoni, di voce, di sax e anima.
Da tempo conviveva con la malattia. Ma la sua musica era rimasta integra, necessaria.
La morte non intacca la grandezza di chi, come lui, ha saputo dare corpo e suono alla dignità. E se può sembrare una sconfitta, non lo è.
Ironico, autoironico, irridente e umile, scanzonato e a volte strafottente.
Ngazzate nire” – così si definiva nella sua rabbia, nera e orgogliosa, che diventava ritmo, battito, groove.

Intorno a lui si era coagulato un entourage di grande impatto che trasformò su più fronti gli stanchi moduli melodici della canzone napoletana. Che tuttavia nei temi migliori restano immortali.
Col sax di Senese l’anima della Napoli passionale, dolce, poetica, struggente, drammatica trasvolò idealmente verso Detroit, New Orleans, New York… e tornò mezza nera, ma sempre mediterranea. Mantenne come sottofondo le lontane salmodie greco-romane, arabe, della Villanella del canto popolare, accanto a John Coltrane, Miles Davis (studiati “dalla mattina alla sera”…), blues, jazz, soul.

Era nato da un soldato afroamericano e da una ragazza napoletana. Figlio della guerra e della tammurriata nera (non amava affatto quella canzone del ’44). Anna Senese, sua madre, gli regalò il sassofono quando aveva dodici anni, avendolo visto rapito ed esaltato dopo l’ascolto di un disco di Johnn Coltrane. Ebbe grande intuito. E James diventerà un grande dei quartieri bassi.

Accanto a Pino Daniele, in quell’entourage irripetibile che cambiò la storia della musica partenopea, portò la sua voce e il suo suono nel cuore del Neapolitan power. Pino, non a caso, chiamò Nero a metà il suo terzo album: c’era dentro anche lui, James.
Una volta gli chiesero, con goffa ingenuità, come mai fosse nero, visto l’accento così napoletano.
Lui, con la sua ironia tagliente, rispose:
Pecché so’ figlie ’e zoccola.

***

Un attimo di respiro

disegno in bianco e nero di alberi di pino

Un attimo di respiro.

In un luogo di mare che ha il nome di un santo che non esiste.
È coronato da una foresta montuosa di pini d’Aleppo e querce alle spalle.
Davanti, il mare.
Il fondale resta al polpaccio per decine di metri. Sabbie dorate di quelle che scandiscono il tempo nelle clessidre e che lasciano traccia anche dopo un accurato lavaggio.

L’arco del sole sorge dal monte tra i pini, e finisce nelle acque del mare, di fronte, quasi sempre uno spettacolo, un vestito non umano in rosso o in oro da gran festa. Qualche volta invece pauroso, col rombo delle onde, incessanti, in più e più file per i bassi fondali, come un forte acufene.
Le nuvole, quando ci sono, si prendono tutto l’orizzonte. Consapevoli dello spazio che abitano, sfoggiano bizzarrie di luce e di forme. Mare e cielo inchiodano gli occhi. Un incantesimo, un’ipnosi di meraviglia – come sempre, quando si staccano gli occhi da terra.

disegno a matita di quercia

Ma un aspro stridore si percepisce, una smorfia alle labbra, come fosse un suono irritante, un sapore acre, un fastidio sulla pelle. Anzi negli occhi.
È l’edilizia balneare di rapina sorta nei tempi favorevoli, per la maggior parte senza carattere, né di modernità né di tipicità. Mobili, cassettoni con i cassetti aperti, casse d’imballaggio con dentro umani.
Fino agli anni Sessanta era infatti un borgo con poche case – conservano ancora i comignoli tipici -, una torre trecentesca con funzione originaria di vedetta e dogana. Una piccola stazione per un trenino a due vagoni. Tre chiesette.

Una, piccolissima su un’altura, rivolta verso il mare (una decina di fedeli dentro, il resto fuori quando il tempo lo permette).

disegno a matita di pino

Tra i pini di un’altura resta una villa liberty degli anni Venti, ancora con qualche ricordo stilistico originale, ma sopraffatta dalla nuova funzione di ristorante-albergo.
Un’altra villa, chiamata dei fantasmi, ha un passato cinematografico poco conosciuto: vi si riunì una troupe che nel ’27 produsse un film muto girato nei dintorni; una cinematografia nata in area – già nel 1909-, prima ancora di Cinecittà.
Altre ville, di pregio, risalenti più o meno agli anni venti (alcune convertite in alberghi), sono sparse tra i pini secolari. Testimoniano un sorprendente e insospettato giro della café society, non solo regionale: personaggi noti e influenti, musicisti, giornalisti, artisti, viveur, donne fatali… Notti di balli, bevute, cucina raffinata, amori.
La belle époque, una dolce vita ante litteram da una villa all’altra, convergente anche dalla capitale.

A qualche decina di metri dalla battigia, un grande albergo conserva ancora le linee di quell’eclettismo neogotico balneare molto in voga tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Vi si cenava in abito da sera, tra fastose decorazioni e abbondanti corbeilles. Passavano di lì gerarchi e personaggi altolocati che non possedevano una villa in loco, né modo di farsi ospitare.

disegno a matita di pini, sullo sfondo suggerito il mare

D’estate il borgo è preso d’assalto da infinite presenze rumorose che lasciano scorie del loro quotidiano qua e là, come pelli di serpenti, un impiccio di cui liberarsi. Quello stesso pattume che in pochi decenni ha dato forma a un continente al centro dell’Atlantico.
D’inverno risiede nell’abitato qualche anima, nessun esercizio commerciale. Nemmeno un forno per il pane. Resistono un ristorante e un caffè sul mare per le gite di fine settimana.
Spenta l’estate, riemerge il fascino millenario restituito alla foresta dei pini e delle querce, ai silenzi delle albe e dei tramonti, al rumore delle onde, ai gabbiani verso il mare, ai falchi verso monte. La loro immaginaria conversazione è in risonanza con le nostre cellule da milioni di anni.
Sempre più difficile intercettarla, goderne.
E finalmente la notte, nera per le poche luci, può mostrare nitide tutte le costellazioni.

disegno a biro di pino molto alto

***

Il preavviso

Caricatura che mostra un avvocato al telefono mentre informa della perquisizione imminente, con agenti che bussano e poi si allontanano delusi da un'abitazione vuota.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio la definisce una fake news. Ma c’è chi afferma di aver letto la bozza all’interno del quadro per la riforma della giustizia, redatta dalle commissioni di studio per conto del ministro. Detta “preavviso di perquisizione”, sarebbe la procedura con cui prima dell’azione reale della perquisizione occorre avvisare “con ogni mezzo utile” l’avvocato dell’indagato: due ore prima.

In due ore con un jet privato si possono percorrere dai 1500 ai 2000 km. Dunque file, documenti, corpi di reato possono prendere il volo abbastanza per tempo. Ma più semplicemente, a piedi, un portatore può raggiungere una qualsiasi cantina a una decina di km di distanza, zaino in spalla.
Perfino qualche… mobile può sparire.

Ma già esiste, voluto dallo stesso Ministro il “preavviso di arresto” (agosto ’24), definito il paradiso dei ladri e degli spacciatori. È La convocazione per un “interrogatorio di garanzia”, dopo aver avvisato tutte le parti, prima della misura cautelare (almeno cinque giorni).
L’effetto più ovvio è quello che spariscono corpi di reato e refurtive.
E sparisce il più delle volte anche il catturando.

***